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Livello 17

R.S.P.P. ED INFORTUNIO SUL LAVORO

Non sempre la Sezione IV della Corte di Cassazione impartisce agli operatori insegnamenti persuasivi nel settore della sicurezza del lavoro. È quel che accade nel drammatico caso affrontato dalla sentenza n.  30557 del 19 luglio 2016: nell’impianto di depurazione del comune di Mineo, all'interno del pozzetto di ricircolo dei fanghi, morirono sei operai, quattro dipendenti del comune e due di una s.r.l. incaricata di effettuare l'espurgo della condotta di collegamento tra la vasca del biorotore (ossia la vasca in cui avviene il nucleo del trattamento depurativo mediante un processo di rimozione e trasformazione delle sostanze inquinanti) e la vasca di sedimentazione finale (ossia la vasca in cui si raccolgono i fanghi successivamente al processo di sedimentazione primaria).
Sei i condannati per omicidio colposo. Tre nell’ambito del comune: il responsabile area servizi tecnologici e del territorio, dirigente dell’ufficio tecnico del comune; il responsabile del servizio lavori pubblici, manutenzioni e sicurezza sul lavoro, subentrante nelle competenze di responsabilità dell'area in caso di assenza temporanea del responsabile; l’assessore con delega ai lavori pubblici, al servizio idrico integrato, all'ecologia, ai servizi tecnologici. E tre nell’ambito della s.r.l.: il legale rappresentante e presidente del consiglio d'amministrazione; il responsabile del servizio di prevenzione e protezione; il preposto con qualifica di capo cantiere. La Sez. IV annulla con rinvio la condanna dell’assessore per nuovo esame. Annulla con rinvio la condanna dei due dirigenti comunali limitatamente al trattamento sanzionatorio (peraltro con dichiarazione di irrevocabilità della condanna in ordine all’affermazione di responsabilità). Annulla senza rinvio la condanna dell’RSPP per non aver commesso il fatto. Conferma, invece, la condanna per omicidio colposo del presidente del consiglio di amministrazione e del preposto della s.r.l.

Molteplici e illuminanti sono sono le indicazioni date dalla Cassazione in questa sentenza. Ma ve n’è una che appare arduo condividere.
Quanto all’RSPP della s.r.l. appaltatrice, la Sez. IV ne annulla senza rinvio la condanna per non aver commesso il fatto. Prende atto che, a dire della corte d’appello, “il RSPP risponde per mancata elaborazione di informazione e di formazione dei lavoratori tutte le volte in cui l'infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o mal considerata dal responsabile del servizio”, e che i dipendenti della s.r.l. deceduti non avevano ricevuto un'adeguata formazione”, sicché, “ignorando le modalità ottimali per eseguire l'intervento loro richiesto a causa del difetto di formazione-informazione, avevano operato disattendendo le più elementari regole precauzionali”. Nota che “la posizione di garanzia del RSPP è stata ricondotta, oltre che alla compilazione del documento di sicurezza, all'obbligo di verificare l'effettiva e costante partecipazione di tutti i dipendenti ai corsi di formazione, con particolare riguardo ai corsi aventi ad oggetto rischi specifici, di curare i meccanismi di raccordo e di automaticità per garantire la formazione/informazione dei nuovi assunti prima dell'assunzione stessa, di garantire un meccanismo di controllo effettivo sulla partecipazione dei lavoratori ai corsi”. Ma obietta che “i compiti di consulenza spettanti all’RSPP non possono estendersi sino ad includervi la vigilanza sull'effettivo svolgimento delle attività di formazione e di informazione dei lavoratori, a meno che non vi sia espressa delega di funzioni datoriali in tal senso”. Sostiene che “l'obbligo di vigilanza sull'effettivo svolgimento dell'attività di formazione/informazione dei lavoratori è strettamente inerente all'osservanza della normativa antinfortunistica che la legge pone a carico di soggetti diversi dal RSPP”, e che “i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere decisionale”. Aggiunge che “i casi che hanno comportato l'affermazione di responsabilità di tale figura professionale riguardano, per lo più, l'omessa individuazione di un rischio o l'omessa segnalazione di una situazione pericolosa la cui conoscenza avrebbe messo il datore di lavoro nella condizione di evitare l'evento”.

Che l’RSPP non abbia compiti decisionali, né operativi, è pacifico. Ma del pari pacifico è che l’RSPP può essere chiamato a rispondere di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale, qualora abbia omesso di segnalare una situazione di rischio o abbia dato suggerimenti inadeguati. E ben s’intende che l’insufficiente informazione-formazione dei lavoratori origina una situazione di rischio che l’RSPP è tenuto a segnalare. A maggior ragione, ove si tenga presente che, a norma dell’art. 33, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, spetta proprio SPPR “proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori” e “fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art. 36” (v., infatti, tra le tante Cass. n. 18444 del 4 maggio 2015; Cass. n. 37761 del 13 settembre 2013; Cass. 11492 dell'11 marzo 2013).


 
 
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